
30 Mar Negli occhi di un bambino
Da circa due anni sono il tutore affidatario di un piccolo bambino del Magreb: la mamma in fuga da una famiglia tradizionalista islamica me lo ha lasciato pregandomi di proteggerlo dalla violenza disumana di una legge senza pietà.
Quasi come per caso, è iniziato un percorso di vita che non avevo previsto e che ha scardinato tutto il mio essere fino alle fondamenta.
La mamma me lo ha portato avvolto in un sacco a pelo, il primo ricordo che ho di lui sono i suoi occhi neri, grandi e profondissimi, come gli abissi dell’oceano.
L’ho preso in braccio e non ha fatto un lamento, si è appoggiato sulla mia spalla e si è affidato a un corpo estraneo: il suo riparo.
Mi arrivava dentro un sacco a pelo questo nuovo Mosè, scampato alla furia di uomini piccoli che non hanno rispetto per le donne e quindi per la vita; gli abbiamo dato la prima pappa in ambulatorio, l’ha mangiata tutta d’un fiato.
Ha fame! Vuole vivere, ho pensato, vuole lottare per resistere a un mondo che lo rigetta perché nato dalla trasgressione. Gli uomini non accettano la diversità, hanno paura di chi non gli somiglia.
Gli ho sorriso e mi ha risposto con un accenno di riso sulla bocca, il mio primo sguardo su di lui è stato di felicità.
Per tutto il tempo che ti accompagnerò nel pericolo da me avrai solo gioia e fiducia della vita, sarò per te come un baluardo, come uno scudo di difesa- gli ho detto e lui si è addormentato.
Sono passati i giorni, i mesi, due anni di cammino insieme mio piccolo Mosè; sei cresciuto come un virgulto: le guance paffute e rosa, i boccoli neri che incorniciano la fronte, gli occhi grandi e decisi, il mento segnato da una piccola macchia, il segno di un’elezione.
Mi chiami il tuo soldato, mi fai inginocchiare per tagliarmi i capelli con una spada di legno, mi vuoi affianco come tua scorta, come guerriero di fiducia. Ogni re ne ha diritto. Dal nostro primo incontro, mi hai affidato questo compito di difenderti a qualunque costo, a qualsiasi prezzo.
La legge del tuo popolo voleva ucciderti perché illegittimo, la legge del mio voleva darti in adozione perché sono vecchia e tu sei una facile preda per genitori italiani che si ricordano stanchi della loro sterilità. E’ un nuovo commercio, oggi, quello delle adozioni di minori stranieri, in stato di abbandono.
Mi hanno tuonato, in un aula di Tribunale, che per tua mamma non c’era speranza di essere recuperata ad essere madre, mi hanno detto: quella donna non cambia!
Ho pensato alla madre di Mosè, cacciata via dalla figlia del faraone dopo aver allattato per 6 mesi quel bambino che sapeva di fiume e che all’acqua doveva la sua vita.
Ho pensato alle sue lacrime amare, mentre teneva al seno la sua carne sapendo che gli sarebbe stata portata via per sempre.
Così, mio piccolo re, ho cercato tua madre e l’ho portata a casa con te: una madre bambina che crescerà con te, al riparo di chi voleva seppellirla sotto una coltre di pietre reciderle la gola come un fiore di campo.
Volevo dare ai tuoi occhi uno sguardo di madre che dalla carne risalisse al cuore di una memoria spezzata.
Vi accompagno al parco e vi vedo giocare insieme seduta sulla panchina a godermi questo primo sole di primavera.
Corri e cadi, mi chiami a soccorrerti, il pianto è disperato ma il mio sorriso ti calma- un re non piange, neanche dopo un dolore- ti sussurro all’orecchio. Esplodi in una risata, nei tuoi occhi appare fulminea una piena intesa; esci dal mio abbraccio e torni a giocare con tua madre.
La sera ti addormenti, dopo avermi estenuato a leggerti storie di draghi sconfitti da eroi bambini; spengo la luce per conciliarti il sonno: mi stringi la mano e mi dici con una piccola voce: ho paura del buio.
Hai 2 anni e mezzo e parli come un uomo.
Ti prendo in braccio e ti avvicino alla finestra: –Guarda su. Non c’è notte se nel cielo brillano le stelle.
Un raggio lunare risplende nelle tue pupille e sorridi. Un bimbo che ride è un miracolo che attraversa il mondo come un cometa, un riflesso di luce per rischiarare il buio della nostra cecità.
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