In memoria di Willy

In memoria di Willy

L’estate 2020 si chiude con un episodio di violenza inaudita che soffoca la vita di un giovane ragazzo e che ha per autori altri giovani.
Una violenza ceca, brutale, efferata, costruita “allenata”. Una violenza senza ragioni, in cerca solo di una preda, di una vittima da immolare sull’altare del culto della Forza, un paganesimo strisciante che si insinua facilmente nei più giovani e a cui la società civile e le Istituzioni stanno lasciando sempre più spazio senza saper offrire
alternative.
La violenza non è mai casuale, le sue radici sono il vuoto.
Il vuoto di senso, il vuoto di valori, il vuoto relazionale, il vuoto affettivo, il vuoto educativo, il vuoto politico, il vuoto spirituale.
Il vuoto che alimenta le pulsioni distruttive e i rituali di morte presenti ogni giorno nelle pagine di cronaca nera nei pestaggi, negli stupri, nei fenomeni di intolleranza razziale, nelle dark room per dilettare ragazzi carnefici e torturatori di neonati.
Fa sorridere e allo stesso tempo inquieta la superficialità di intellettuali che all’ottimismo della ragione” attribuiscono le proprietà di farmaco miracoloso per curare l’irrazionalità dell’essere umano.
Né pensiero né legge bastano a guarire il cuore dell’uomo e le sue ferite.
E’ necessario ripensare all’educazione e ai contesti educativi perché i giovani imparano dall’esperienza e non dalle parole.
Bisogna avere il coraggio di dire che il tessuto sociale è strappato; dalla lacerazione delle famiglie alla desertificazione della scuola i ragazzi sono lasciati soli.
Gli adulti non hanno il coraggio di educare perché non hanno più chiaro a quale uomo e a quale società guardare per orientarsi.
Siamo pieni di slogan, di frasi zeppe di giustizialismo e buoni propositi, ma i ragazzi cercano “maestri” da seguire, maestri in cui tra pensiero parola e azione esista una coerenza tangibile. E se trovano questa coerenza in maestri cattivi, li seguono con tutte le tragiche conseguenze.
Questa battaglia non si vince da soli. La comunità civile deve avere il coraggio di ritrovarsi, di dialogare, di confrontarsi per bandire ogni forma di corruzione, di frammentazione, di individualismo esasperato, di diseguaglianza, di mitologia della forza e di celebrazione del corpo. I giovani hanno diritto a diventare molto di più di una “forma” corporea da esibizione.
Willy è stato ucciso dal branco, ma non solo.
E’ stato ucciso da una cultura che ha reso possibile l’azione del branco tollerando atteggiamenti e comportamenti, anche subliminali, inneggianti alla violenza.
La nostra società è alimentata dai miti del successo, della forza, della eterna giovinezza, del piacere, del desiderio. Ad ogni costo.
Willy era diverso. Era un ragazzo cresciuto nell’Azione Cattolica, nel valore e nel rispetto dell’Altro come fine e non come mezzo.
Per questo ha offerto la sua giovane vita, per difendere la vita dell’Altro.
A lui ogni adulto oggi deve guardare come Modello, chiedendosi se come padre, madre, maestro, allenatore, avrebbe avuto il coraggio di donarsi come ha fatto lui. Anche i media dovrebbero interessarsi più a Willy e alla sua vita che alle dinamiche degli ultimi momenti.
E’ scritto nella lettera agli Ebrei “che per fede Abele benché morto parla ancora”. Perché è questa l’eredità dei giusti, la vita che non muore.
Willy è un maestro seppur così giovane a cui guardare e da seguire perché in Lui parola pensiero e azione sono stati così coerenti tra loro da far passare la luce, una luce capace di rischiarare la nostra società così rassegnata a camminare nella nebbia.

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